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Sentenza

Cassazione civile, sez. III, sentenza 10.05.2011 n. 10214 Diffamazione a mezzo di stampa, televisione,  analogia, insussistenza.
Cassazione civile, sez. III, sentenza 10.05.2011 n. 10214 Diffamazione a mezzo di stampa, televisione, analogia, insussistenza.
La III Sezione

Svolgimento del processo

La RTI — Reti Televisive Italiane S.p.A. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi ed illustrato da successiva memoria, avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, la ha condannata, in solido con V..S., al pagamento, in favore di B.I., della somma di L. 52.000.000, pari ad Euro 26.855,76, oltre interessi legali dalla domanda., a titolo di risarcimento del danno e di riparazione pecuniaria conseguente alla diffamazione, posta in essere dallo S. nella trasmissione televisiva (OMISSIS) del XXXXXXX.
Resiste con controricorso la B.
Avverso la medesima sentenza propone ricorso per cassazione, in base a due motivi, illustrato da successiva memoria, anche S.V.
Anche avverso il ricorso dello S. la B. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1.- I due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ.

2.- Con il primo motivo la RTI, sotto i profili della violazione dell'art. 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., lamenta la mancata sospensione del procedimento in applicazione dell'art. 3 della legge n. 140 del 2003, avendo essi convenuti invocato l'applicazione dell'art, 68, primo comma, Cost.

2.1.- Il primo motivo è inammissibile per difetto di interesse.
Questa Corte ha infatti affermato (Cass. 6325/10, 16382/10) che l'immunità ex art, 68, primo comma, Cost. riguarda solo i parlamentari e non anche coloro che a qualsiasi titolo rispondono dello stesso illecito.
Le ulteriori censure eventualmente ravvisabili nel corpo del motivo sono inammissibili, in quanto non tradotte in quesiti di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.

3.- Con il secondo motivo, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, la RTI censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che le dichiarazioni dell'on.le S., rese extra moenia, non fossero coperte da insindacabilità.

3.1.- Anche il secondo motivo è inammissibile, non potendo la RTI giovarsi, per quanto rilevato in relazione al primo motivo, delle prerogative eventualmente spettanti al parlamentare.

4.- Con il terzo motivo, sostanzialmente uguale al primo dello S., la RTI censura la sentenza impugnata quanto all'esclusione dell'esimente del diritto di critica e di cronaca, assumendo che le circostanze di fatto enunciate dallo S. sarebbero tratte da un intervento effettuato dinanzi al CSM e da precedenti articoli di stampa.

4.1.- Il mezzo è infondato.
Il giudice di merito ha respinto il secondo motivo di appello della RTI (di contenuto identico al secondo e terzo motivo dello S.) sul rilievo che il deputato S. "ha superato, abbondantemente i limiti della continenza" per le ragioni dettagliatamente esposte alle pagg. 18-21 della sentenza, quanto all'affare Squillante, mentre, per quanto riguarda le notizie riguardanti il figlio, ha esposto questioni non aventi alcun interesse pubblico. La motivazione risulta pertanto congrua e nemmeno sussiste la violazione di legge lamentata dallo S.

5. Con il quarto motivo la RTI assume, censurando la sentenza sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, che la responsabilità dell'emittente televisiva per il contenuto delle trasmissioni sussiste solo in quanto vi sia "concorso intenzionale nell'illecito eventualmente commesso nelle trasmissioni", esercitando essa in difetto, ricorrendone i presupposti, il diritto di cronaca, ed assume che comunque il giudice di merito non avrebbe tenuto conto della "discrezionalità ed estemporaneità del comportamento tenuto dall'On.le S., quale conduttore del programma (OMISSIS) ".

5.1. Il quarto motivo è inammissibile, non risultando che la questione sia mai stata prospettata al giudice di merito.

6.- Con il quinto motivo (sostanzialmente uguale al secondo dello S.) la RTI assume, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, che la condanna al pagamento di somme prevista dall'art. 12 della legge sulla stampa non è applicabile ad una emittente televisiva.

6.1.- Il mezzo è fondato, alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'art. 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, nel prevedere una ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata per la diffamazione a mezzo stampa, non è suscettibile di applicazione analogica a casi diversi da quelli espressamente contemplati; conseguentemente, in mancanza di un espresso richiamo alla suddetta disposizione da parte della legge 7 agosto 1990, n. 223, che disciplina i reati commessi con il mezzo televisivo, non è applicabile a questi ultimi (Cass. 6490/10).

7.- Accolti il quinto motivo del ricorso della RTI ed il secondo dello S., la sentenza impugnata va cassata in relazione. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, risultando dalla sentenza che tale pena pecuniaria è stata liquidata in L. 2.000.000, la causa può essere decisa nel merito, riducendo la condanna solidale degli odierni ricorrenti a L. 50.000.000 (pari ad Euro 25.822,84), oltre accessori come liquidati in sentenza, ferma restando la statuizione relativa alle spese.

8.- Appare equo disporre la compensazione delle spese di Cassazione nella misura di un terzo, ponendo i rimanenti due terzi a carico solidale dei ricorrenti, in ragione della prevalente soccombenza. Spese liquidate, nella loro interezza, in complessivi Euro 3.000, di cui Euro 2.800 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte riunisce i ricorsi;
- accoglie il quinto motivo del ricorso della RTI S.p.A. ed il secondo del ricorso di S.V., rigettati gli altri;
- cassa la sentenza impugnata in relazione e, decidendo nel merito, - riduce la condanna solidale dei ricorrenti nei confronti di I..B. a L. 50.000.000 (pari ad Euro 25.822,84), con gli interessi legali dalla domanda al saldo, fermo il resto;
- compensa le spese di cassazione — liquidate nella loro interezza in complessivi Euro 3.000, di cui Euro 2.800 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge - nella misura di un terzo, ponendo i rimanenti due terzi a carico solidale dei ricorrenti.
Avv. Antonino Sugamele

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