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Sentenza

Atti persecutori, stalking, condominio, sussistenza Cassazione penale , sez. V, sentenza 25.05.2011 n° 20895
Atti persecutori, stalking, condominio, sussistenza Cassazione penale , sez. V, sentenza 25.05.2011 n° 20895
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

Sentenza 7 aprile - 25 maggio 2011, n. 20895

(Presidente Ferrua - Relatore Rotella)

Fatto e diritto

1 - Il Tribunale di Torino condannava in giudizio abbreviato A.F. ad a.2 di reclusione con l'attenuante di cui all'art. 89 c.p. equivalente ad aggravante e recidiva, e la diminuente di cui all'art. 442 c.p.p., per atti persecutori e violenza privata (A - B) commessi in libertà e consecutivi danneggiamento aggravato ed interruzione di ufficio nella Casa Circondariale (C -D), disponendone la misura di casa di cura e custodia per sei mesi.

Il Tribunale riteneva che l'imputato aveva offeso B.S. e le sue condomine, P.P. anche tramite la figlia minore, D.B.M. e sua madre, Z.B., presso la quale la D.B. si era dovuta trasferire e L.A., costretta a mutare le proprie abitudini. La B. era stata minacciata di morte il … in una con il cappellano D.M. con punteruolo e martello, se non se né fossero andati lei ed i condomini dall'edificio in cui abitavano. Inoltre l'… A. aveva bloccato l'ascensore in cui la B. era salita per sfuggirgli e, intervenuta la Polizia, l'aveva minacciata di morte alla sua uscita dal carcere. Aveva (B) anche bloccato l'ascensore a danni di L. commesso altri fatti intesi atti persecutori al danni di donne coabitanti nell'edificio dal (omissis).

Con l'appello si chiedeva l'assoluzione dai reati suindicati, perché talune condotte valutate dal Tribunale risalivano al … e per esse vi era già stata condanna (giusta sentenza del 17.12.08), e perché l'esame doveva limitarsi ai fatti successivi all'entrata in vigore dell'art. 612 bis CP (25.2.09, D.L. 11/09), sicché si confinava ai soli episodi del (omissis), che dovevano valutarsi separatamente per ciascuna persona offesa.

La Corte di Torino ha accolto l'appello relativamente ai fatti di minaccia ed ingiuria alla B., circa i quali l'offesa aveva rimesso la querela, escludendo perciò il delitto di cui all'art. 612 bis nei suoi confronti. Ed ha ritenuto la non punibilità a tale titolo delle condotte precedenti l'entrata in vigore della norma (chiusura in ascensore, per il distacco della corrente elèttrica) quanto alla L. , seppure punibili ai sensi dell'art. 610 c.p.. Ha però ritenuto che costituissero unico reato sub A di cui all'art. 612 bis le condotte dell'imputato offensive delle persone dì sesso femminile abitanti nello stesso stabile. E, assorbito il reato sub B in quello sub A, ha eliminato l'aumento per continuazione.

Il ricorso deduce: erronea applicazione degli artt. 612 bis e 610 c.p. e vizio di motivazione circa fa sussistenza dell'evento. Ripete quanto già sostenuto con l'appello circa il confinamento dei fatti costitutivi di reato e la necessità di rapportare ciascuna condotta di stalking alla singola persona offesa. Osserva che nel caso della P., il primo episodio precedeva norma incriminatrice, sicché residua solo quello in danno di sua figlia (seguita per istrada). Nel caso della Z., i due episodi, di ingiuria e deterioramento della porta escludono si tratti di condotte reiterate. Nel caso della D.B. si tratte di due episodi di ingiuria ed uno di danneggiamento, non costitutivi di condotte violente o aggressive tali da rapportarsi alla fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p., mentre l'inseguimento della L. è da considerarsi fortuito. Sostiene poi errore nel non ritenere assorbiti i due fatti di cui all'art. 610 c.p. nella previsione alternativa di cui all'art. 612 bis, giusto il principio dì specialità di S.U. 16/95, dunque l'esclusione della procedibilità laddove la querela non sia stata presentata. Afferma inoltre che i due reati di violenza privata vanno assorbiti nello stalking, trattandosi di condotte di intimidazione o moleste che provenendo da psicolabile, non sarebbero idonee a limitare la libertà di autodeterminazione altrui, per assenza del connotato finalistico, se la condotta è volta a richieste generiche (andar via dallo stabile).

2. Il ricorso è infondato.

La Corte di merito ha accolto l'appello, escludendo la continuazione per il delitto previsto dall'art. 612 bis c.p., per remissione di querela della B.. Ha altresì escluso punibilità dei fatti in danno della L. precedenti l'entrata in vigore della norma. E, ferma la violenza privata ai danni di ciascuna persona offesa, ha ritenuto i fatti successivi commessi nei confronti di P., D.B. e L., perché vigente l'art. 612 bis c.p..

Ma ha ritenuto riduttiva la lettura della norma nei senso che gli atti molesti debbano essere per forza rivolti ad una sola persona. E, poiché nella specie erano stati commessi ai danni di più persone di sesso femminile residenti nello stabile in alternativa, costituendo per ciascuna motivo d'ansia, ben sapendo di non avere scampo se si fossero incrociate con il prevenuto (pg. 9), concludeva che la condotta contestata al capo B andava sussunta nell'ipotesi di cui al capo A, avendosi riguardo ad unica condotta di violazione dell'art. 612 bis, ferma la continuazione del delitto con quello di violenza privata.

Ma se ogni condotta, pur rivolta ad una persona, ha cagionato l'evento ai danni di altre, pèrdo più persone offese, non s'intende la ragione di esclusione della continuazione.

Inoltre ferma tale la premessa, per quanto concerne la B. , la Corte ha travisato che l'ultimo comma dell'art. 612 bis dispone che si proceda di ufficio se il fatto è connesso con altro delitto per cui si deve procedere d'ufficio. Pertanto la contestata e ritenuta violenza privata ritenuta connessa impediva di prender conto della remissione di querela.

A fronte il ricorso pone in unico contesto questioni diverse, ripete la frammentazione dei fatti ed offre diversa limitata lettura del dettato normativo implicando rilettura della norma.

2.1. L'art. 612 bis c.p., introdotto dal D.L. 11/09, punisce a titolo di "atti persecutori” chi con condotte reiterate minacci o molesti taluno, in modo da cagionare un suo perdurante stato dì paura o di ansia o uh suo fondato timore di pericolo per l'incolumità propria o di persone prossime o la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita.

Il fatto può essere costituito anche da due sole "condotte", come ha ritenuto ineccepibilmente (con rif. a Cass., Sez. 5^ n. 6417/20120, rv. 245881) la Corte di merito.

Tanto premesso è indiscusso che la legge si applichi solo ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore. Ma all'evidenza la preclusione concerne l'evento da cui dipende l'esistenza del reato. Perciò anzitutto il Giudice d'appello si sarebbe dovuto domandare se la reiterazione di atti minatori e molesti, nei confronti di persona già offesa da atti dello stesso genere, attuata dopo l'entrata in vigore della norma integrasse gli estremi del reato.

Il mancato rilievo ha avuto in concreto incidenza non per escludere il reato, bensì la continuazione, perché la Corte di merito ha unificato la posizione degli offesi, offrendo la lettura suindicata della norma, travisando come si è visto che gli offesi sono più d'uno.

Va quindi osservato che la locuzione condotte reiterate vuoi dire che si è in presenza di reato complesso, la cui "condotta criminosa", cioè l'azione od omissione di cui è conseguenza l'evento da cui dipende l'esistenza del reato (art. 40 c.p.) è, nei caso di specie, integrata da atti per sé costitutivi di condotte di minaccia o molestia. Pertanto il carattere decisivo della condotta criminosa consiste nella "ripetizione" di "atti" qualificati "persecutori", in quanto il loro insieme cagiona l'evento ulteriore assorbente del reato sopra indicato.

Il meno grave degli atti previsti integra contravvenzione di "molestia o disturbo alle persone". Ma si tratta di reato di sbarramento (art. 660 c.p.), assorbibile ad esempio anche dall'ingiuria, perciò letteralmente dalla progressiva minaccia di male ingiusto (612).

Già il rilievo della funzione di sbarramento della molestia consente d'intendere che la lettera "minaccia o molesta taluno" non implica che ogni atto costitutivo della condotta criminosa dell'art. 612 bis debba avere ad oggetto la stessa persona. Difatti, la minaccia rivolta ad una persona può coinvolgerne altre o comunque costituirne molestia. Si pensi al caso di colui che minacci d'abitudine qualsiasi persona attenda ogni mattino nel luogo solito un mezzo di trasporto per recarsi ai lavoro. La minaccia in tal caso assorbe bensì la molestia nei confronti della persona cui è rivolta, ma non la molestia arrecata alle altre persone presenti. Perciò può essere decisivo ai fini dell'art. 612 bis, che in diversa occasione altra persona, già molestata, sia oggetto diretto di nuova molestia da parte dell'agente.

È dunque ineludibile l'implicazione che l'offesa arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turbi per se ogni altra che faccia parte dello stesso genere. E se la condotta è reiterata indiscriminatamente contro talaltra, perché vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionale destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genera all'evidenza il turbamento di entrambe.

Nella specie la molestia ed ancor più la minaccia, viepiù se accentuata da costrizione, è dimostrata rivolta occasionalmente per la stessa ragione a ciascuna delle persone offese, come ritenuto, al di là del rapporto di famiglia previsto dalla norma (il ricorso, peraltro non contesta la comunicazione motiva tra madre e figlia, rilevato per due volte).

Perciò il Giudice di appello ha anzitutto dato corretto rilievo, già sul piano probatorio, ancorché non costitutivo di reato, alla direzione collettiva; indiscriminata della minaccia occasionalmente rivolta alla B., che si era fatta accompagnare dal sacerdote per dissuaderlo dal reiterare fatti già commessi anche nei confronti di altre persone abitanti nello stesso edificio. Quindi ha incensurabilmente ritenuto che le singole condotte, in quanto ripetute nei confronti di donne di qualsiasi età conviventi nell'edificio (v. il ripetuto arresto dell'ascensore dello stabile, dopo che l'una o l'altra vi si era immessa per sfuggire allo stesso autore dei fatti, ben più del seguirne ostentatamele taluna) le coinvolgesse tutte.

2.2. Risulta inoltre anche manifestamente infondato l'argomento di genericità e perciò inoffensività di qualsiasi minaccia presa in esame nelle sentenze, men che le implicazioni che il ricorso vuoi trarre da comportamenti dimostrati di inequivoca valenza. Basti riflettere, si ripete in senso inverso, che lo stesso evento di molestia poi ripetuto è un male ingiusto e che la correttezza della motivazione non è inficiata dalla provenienza della minaccia da persona che manifesti comportamento maniacale. Proprio la relativa consapevolezza può accrescere il turbamento di coloro che si attendono da tele persona un ingiusto male.

È il senso evidente delle sentenze, al di là dalla ratio di previsione della misura di sicurezza nella specie applicata. L'insistere in merito in questa sede, ben più che non essere consentito, travisa l'elemento soggettivo del reato per la capacità dell'imputato.

2.3. Finalmente se la norma incriminatrice di cui all'art. 612 bis è speciale rispetto a quelle che prevedono reati di minaccia o molestia, non lo è rispetto all'art. 610 c.p.

La violenza privata anzitutto può essere commessa con atti per sé violenti ed è poi soprattutto finalizzata a costringere la persona offesa a fare, non fare, tollerare o omettere qualche cosa, cioè ad obbligarla ad uno specifico comportamento.

La previsione dell'art. 610 c.p. perciò non genera solo il turbamento emotivo occasionale dell'offeso per il riferimento ad un male futuro, ma esclude la sua stessa volontà in atto di determinarsi nella propria attività, d'onde il quid pluris di cui all'art. 610 c.p.

In questa luce risulta in conclusione incensurabile la sentenza sia nell'aver ravvisato lì concorso di reati, sia nel ritenere taluni atti turbativi di persone diverse, oltre il soggetto coinvolto dalla singola condotta, sia nel motivare la responsabilità per i fatti ritenuti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese del procedimento.
Avv. Antonino Sugamele

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