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Sentenza

Anche se il cliente non paga le spese legali, l'avvocato è tenuto a restituire tutta la documentazione del proprio assistito.
Anche se il cliente non paga le spese legali, l'avvocato è tenuto a restituire tutta la documentazione del proprio assistito.
Il cliente non paga le spese legali - L'avvocato è tenuto a consegnare la documentazione in suo possesso

Corte di Cassazione Sez. Unite Civ. - Sent. del 17.11.2011, n. 24080

Svolgimento del processo

Con atto spedito in data 23/3/2011, l'avv. P.D. ha proposto ricorso contro la decisione in epigrafe indicata, inviatagli a mezzo posta il 21/2/2011 e ritirata il successivo 24/2/2011.
Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Monza non ha svolto attività difensiva e la controversia è stata decisa all'esito della pubblica udienza dell'8/11/2011.

Motivi della decisione

Dalla lettura della sentenza impugnata emerge in fatto che dopo avergli revocato ogni mandato, il sig. L..M. ha presentato un esposto nei confronti dell'avv. D.P. , a carico del quale il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Monza ha poi aperto procedimento disciplinare per i seguenti capi d'incolpazione: 1) per avere violato gli artt. 33, 42 e 43 CDF perché, dopo la revoca della sua nomina a difensore avvenuta con racc. r.r. del 25 luglio 2006, ricevuta il 3 agosto 2006, non si adoperava affinché la successione nei mandati avvenisse senza danni per l'assistito sig. M.L. ed anzi, agiva in senso inverso non consegnando la documentazione né la contabilità delle spese sostenute ed in particolare: a) richiedendo in data 3 novembre 2006 (e cioè a revoca già avvenuta), due copie autentiche con formula esecutiva della sentenza n. 789/2006 del Giudice di Pace di Monza, pronunciata nella causa M.L. /Comune di Villasanta ed E. spa e non consegnandole né al cliente né al nuovo difensore precludendo e/o comunque rendendo più difficoltosa ed onerosa la prosecuzione della difesa ed in particolare l'esecuzione del titolo in esame; b) non fornendo al cliente e al nuovo difensore copia delle fatture relative agli assegni fatti sulla Banca Popolare di Bergamo per l'importo rispettivamente di Euro 250,00, 1.000,00 e 1.400,00, precludendo in tal modo e comunque rendendo più difficoltosa ed onerosa l'eventuale attività di recupero di detti importi e comunque non fornendo al cliente informazioni che è obbligato a fornire ex art. 42 co. II CDF; c) non fornendo al cliente e al nuovo difensore copia della documentazione inerente un sinistro trattato nell'interesse del sig. L..M. con la F. Ass.ni (e in particolare copia della quietanza che ha definito il sinistro), violando in tal modo il disposto di cui all'art. 42 CDF ed impedendo e/o comunque rendendo più difficoltosa l'attività di verifica inerente la posizione.
2) Per aver violato gli artt. 5, 6, 7 e 8 CDF in quanto, in violazione dei doveri di probità, lealtà, correttezza, fedeltà e diligenza non consegnava al sig. L..M. , suo assistito che in più sedi e forme gliene faceva esplicita richiesta a far tempo dal 25 luglio - 3 agosto 2006, i documenti di cui al capo 1)… E ciò nonostante esplicito impegno in tal senso assunto avanti alla Commissione Disciplinare dell'Ordine di Monza in data 26 marzo 2007″.
Citato a giudizio per l'udienza del 6 aprile 2009, l'avv. P. ha depositato memoria ed al termine del dibattimento il Consiglio dell'Ordine lo ha assolto da una parte degli addebiti, infliggendogli la sanzione della censura per la mancata consegna delle copie della sentenza del Giudice di pace. L'avv. P. si è gravato al Consiglio Nazionale Forense che, però, ha rigettato l'appello con decisione contro cui l'incolpato ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, con il primo dei quali ha dedotto violazione di legge ed incongruità della motivazione, in quanto il giudice a quo avrebbe dovuto riconoscere la insanabile contraddittorietà della pronuncia del Consiglio dell'Ordine, che nel dispositivo aveva riferito la condanna ai capi le e 2, mentre nella motivazione l'aveva assolto da tali addebiti, ritenendolo responsabile di quelli di cui ai punti la e 2.
Con il secondo motivo, l'avv. P. ha sostenuto che il sig. M. non gli aveva corrisposto alcun compenso, per cui non poteva aver risentito nessun danno dalla mancata messa in esecuzione della sentenza del Giudice di pace, il quale si era limitato a condannare il Comune di Villasanta solo al rimborso di quelle spese legali che il M. non aveva, in realtà, mai pagato.
Con il terzo motivo, l'avv. P. ha nuovamente dedotto la violazione di legge e l'incongruenza della motivazione, sottolineando da un lato che la richiesta delle copie non aveva rappresentato un atto processuale o, in ogni caso, un'iniziativa arbitraria, bensì la semplice attuazione di una precisa volontà del M. e, dall'altro, che dal canto suo non era tenuto ad andare a consegnarle, ma soltanto a metterle a disposizione come, del resto, aveva puntualmente fatto senza frapporre alcun ostacolo al loro ritiro da parte dell'ex cliente che, anzi, aveva dovuto ad un certo punto citare addirittura in giudizio per costringerlo a prendere quanto, solo apparentemente, invocava.
Con il quarto motivo, l'avv. P. ha infine lamentato che pur avendo egli dedotto la inammissibilità della motivazione dal Consiglio dell'Ordine, che aveva giustificato l'applicazione della censura con l'esistenza di altri procedimenti disciplinari non ancora conclusi, il Consiglio Nazionale non aveva minimamente risposto, ma si era limitato a confermare la sanzione sulla base di argomentazioni diverse da quelle utilizzate dal Consiglio locale.
Così riassunte le difese del ricorrente, osserva il Collegio che secondo il Consiglio Nazionale Forense, l'inesatto richiamo dei capi d'incolpazione operato dal dispositivo della decisione del Consiglio dell'Ordine era stato il frutto di un mero errore materiale che aveva determinato una semplice discrepanza chiaramente percepibile e, perciò, incapace d'ingenerare ragionevoli dubbi sul contenuto e le ragioni della condanna dell'incolpato che, infatti, aveva impugnato in modo ampio ed articolato, mostrando così di non aver risentito alcun pregiudizio del suo diritto di difesa. Trattandosi di valutazione di merito non inficiata da vizi logici o giuridici né adeguatamente contestata dall'incolpato, che in violazione del principio di autosufficienza del ricorso non ha nemmeno riprodotto il testo del provvedimento del Consiglio dell'Ordine, il primo motivo del ricorso dev'essere di conseguenza rigettato.
Parimenti da rigettare è anche il secondo motivo, a proposito del quale è sufficiente sottolineare che l'inadempimento del M. agli obblighi su di lui gravanti nei rapporti interni con il proprio difensore, non poteva comportare il venir meno del suo interesse a disporre del titolo esecutivo per ottenere, nei rapporti esterni con il Comune, il pagamento delle somme da quest'ultimo dovute.
Quanto al terzo motivo, giova innanzitutto precisare che il Consiglio Nazionale non si è interrogato sulla natura, processuale o meno, della richiesta delle copie né ha sostenuto che l'avv. P. avrebbe dovuto spingersi a consegnarle anziché limitarsi a metterle a disposizione, ma si è attenuto alle risultanze istruttorie, ritenendo ampiamente dimostrato dalle raccomandate in atti, nonché dalle dichiarazioni del M. e del suo nuovo difensore, che ad un certo punto della vicenda l'incolpato aveva cominciato a porre in essere una condotta finalizzata ad ostacolare il suo ex cliente. In un quadro del genere, ha osservato il Consiglio Nazionale, risultava irrilevante accertare se la richiesta delle copie fosse stata o meno fatta su sollecitazione del M. , perché anche a prescindere dal fatto che la presentazione dell'istanza era avvenuta tre mesi dopo la revoca del mandato e, cioè, quando l'ex cliente aveva già più volte domandato la restituzione della documentazione, quello che in realtà contava era che l'avv. P. non poteva non sapere che la loro mancata acquisizione avrebbe impedito al M. di procedere in forma esecutiva.
Malgrado tale consapevolezza, l'avv. P. si era però “univocamente mosso nella direzione di evitare la consegna delle copie della sentenza, ed” era “questo l'atteggiamento sostanziale che” andava iscritto a suo carico, “nessun rilievo potendosi dare a declaratorie di disponibilità” cui, al di là delle forme, erano “puntualmente seguiti atteggiamenti di segno” esattamente contrario.
In considerazione di quanto sopra, il Consiglio Nazionale ha quindi concluso per la sussistenza della responsabilità disciplinare dell'avv. P. , esprimendo in tal modo un giudizio che non può essere sindacato in questa sede perché basato su di una ricostruzione dell'accaduto immune da errori logici o giuridici.
Pure il terzo motivo del ricorso dev'essere, pertanto, rigettato al pari, d'altronde, del quarto, in relazione al quale sembra sufficiente rilevare che a fronte di una motivazione incongrua del Consiglio dell'Ordine, il CNF non era certo vincolato a darne atto e ad annullare di conseguenza la sanzione della censura, in quanto essendo anche lui giudice del merito (C. Cass. n. 8429 del 2004 e 15972 del 2009), ben poteva legittimamente confermarla sulla base di considerazioni diverse che, nel caso di specie, sono state ragionevolmente indicate nella “rilevanza del comportamento illecito” e nel mancato compimento di “alcun atto emendativo” da parte dell'incolpato.
Nulla per le spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Monza e la natura di parte in senso solo formale del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.

 

Depositata in Cancelleria il 17.11.2011
Avv. Antonino Sugamele

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