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Sentenza

Lo sgambetto durante una partita di calcio anche se procura la frattura della mandibola non è considerato dalla Cassazione fonte di responsabilità aquiliana, Sent. Sez. III, 28 ottobre 2009, n. 22811 .
Lo sgambetto durante una partita di calcio anche se procura la frattura della mandibola non è considerato dalla Cassazione fonte di responsabilità aquiliana, Sent. Sez. III, 28 ottobre 2009, n. 22811 .
Svolgimento del processo

 

Con citazione notificata il 7 luglio 1998 i coniugi An.Lo. e R.D.L., in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore Ma.Lo. e in rappresentanza processuale dello stesso, convenivano in giudizio G.L. e C.F., in nome proprio e quali legali rappresentanti del figlio minore R.L., per sentirne dichiarare la responsabilità ai sensi degli art. 2043 C.C. e/o 2048 C.C. e/o 2059 C.C. e per sentirli conseguentemente condannare al risarcimento dei danni cagionati dal fatto commesso dallo stesso R.L. il quale, il giorno omissis, nel corso di una partita di calcio, era intervenuto su Ma.Lo. da tergo, spingendolo e determinandone la caduta a terra. A seguito della stessa il Lo. aveva riportato la frattura della mandibola che aveva reso necessario intervento chirurgico maxillo-facciale.

Costituendosi in giudizio, i convenuti contestavano la volontarietà dell'intervento sostenendo che si era trattato di un mero incidente di gioco e chiedevano di essere autorizzati a chiamare in giudizio l'associazione sportiva M., quale responsabile dei calciatori minorenni.

L'Associazione sportiva si costituiva a sua volta in giudizio chiedendo che la domanda venisse respinta in via principale per difetto di legittimazione passiva e in subordine per infondatezza della stessa nel merito.

Gli attori estendevano la domanda risarcitoria alla M. per l'ipotesi in cui “si ravvisasse la responsabilità della medesima a titolo di garante e/o in manleva dei convenuti”.

Il Tribunale di Genova, con sentenza 2674/2002, rigettava la domanda proposta da Ma.Lo., intanto pervenuto alla maggiore età, contro G.L. e C.F. in proprio e quali legali rappresentanti di R.L. nonché contro la società sportiva M., con la integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

Proponeva appello Ma.Lo.; resistevano G.L. e C.F. in proprio e nella suindicata qualità nonché la Associazione sportiva M..

L. e F. proponevano appello incidentale contro la compensazione delle spese.

La Corte d'appello di Genova respingeva l'appello principale proposto da Ma.Lo. e l'appello incidentale proposto da L.G. e C.F..

Proponeva ricorso per cassazione Ma.Lo..

Resisteva con controricorso G.L..

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.”.

Secondo Ma.Lo. l'impugnata sentenza ha errato sia nel valutare il grado di violenza esercitata dal L. nell'azione fallosa; sia nel valutare il rapporto tra la condotta e l'evento: in tema di responsabilità civile, infatti, qualora l'evento dannoso si ricolleghi a più azioni od omissioni, il problema del concorso tra le cause trova soluzione nell'art. 41 c.p., in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo questo riconducibile a tutte, tranne che si accerti la esclusiva efficienza causale di una di esse.

Nella fattispecie per cui è causa, prosegue parte ricorrente, è evidente che l'evento dannoso, come afferma la sentenza impugnata, sia stato causato dalla caduta a terra del Lo., ma è altresì evidente che quest'ultima è stata determinata dal fallo operato dal L. a danno del Lo. e che tra la causa, costituita dall'azione del L., e l'effetto costituito dalle lesioni subite dal Lo. non vi sono stati eventi intermedi tali da modificare il nesso eziologico tra azione ed evento. Nel caso che ci occupa è evidente che il Lo. non sarebbe caduto rovinosamente a terra in mancanza del fallo su di lui effettuato da parte del L., mentre tra la condotta del L. e l'evento dannoso patito dal Lo. non vi è stata alcuna interruzione del nesso causale.

Il motivo è infondato.

La decisione della Corte d'Appello si basa essenzialmente sulla ricostruzione del fatto processuale dalla quale risulta che il fallo del L. fu un normale fallo di gioco, di per sé inidoneo a cagionare la frattura della mandibola, mentre quest'ultima fu causata dalla caduta e non dal fallo.

In altri termini, la spinta o lo sgambetto inferti dal L. al Lo. sono risultati, nel giudizio di merito, astrattamente idonei a cagionare soltanto la caduta dello stesso Lo., non certo il danno che risulta invece eziologicamente riconducibile alla caduta.

Tale accertamento, che è stato condotto in modo rigoroso dalla Corte d'Appello ed altrettanto rigorosamente motivato non può essere sindacato in sede di legittimità (Cass., 5.4.2005, n. 7086).

Con il secondo motivo si denuncia “Violazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. circa la valutazione delle prove”.

Si sostiene con tale motivo che la Corte d'Appello di Genova ha fondato la sua decisione su una ricostruzione dei fatti esclusivamente basata sulla testimonianza dell'arbitro della partita, considerando indubbia la sua competenza e la sua neutralità. Ad avviso di parte ricorrente invece tutti i testimoni ascoltati hanno riferito che il L. ha commesso fallo sul Lo. e che le lesioni sono state da questo riportate in conseguenza di tale fallo.

Anche questo motivo è infondato.

L'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, sono infatti riservate al giudice del merito il quale è però tenuto a giustificare le determinazioni adottate al riguardo mediante congrua e corretta motivazione che, se non deve contenere l'espressa confutazione di ciascuno degli elementi contrari alla soluzione accolta, deve tuttavia consentire la verifica che le risultanze probatorie siano state esaminate ed apprezzate non già singolarmente e separatamente l'una dall'altra ma in modo unitario e globale, talché la decisione costituisca il risultato di una sintesi logica del complesso delle prove offerte dalle parti (Cass., 14 ottobre 1988, n. 5585). Tanto è stato fatto dall'impugnata sentenza che, seppure non ha esplicitamente richiamato ed esaminato tutte le testimonianze assunte nel corso della fase istruttoria ha implicitamente mostrato di averle prese comunque in considerazione privilegiando per ragioni adeguatamente indicate, quella dell'arbitro.

Con il terzo motivo si denuncia infine “Violazione o falsa applicazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell'art. 245 c.p.c. circa l'ordinanza di ammissione dei testimoni”.

Lamenta il ricorrente che la Corte d'Appello di Genova ha ritenuto inammissibili i capitoli di prova per testi non ammessi in primo grado, volti a provare che in seguito alla partita di calcio L.R. si vantava tra i compagni di scuola di aver fermato il Lo. durante l'incontro e di avergli provocato lesioni.

Secondo questa Corte, perché la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale sia ammissibile è necessario che il ricorrente trascriva i capitoli di prova, indichi i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare ed alleghi ed indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione, al fine di consentire “ex actis” alla Cassazione di verificare la veridicità dell'asserzione (Cass., 23 settembre 2004, n. 19138).

Poiché parte ricorrente non si è attenuta a tali indicazioni, il motivo deve essere rigettato.

In conclusione, per tutte le ragioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato.

Tenuto conto della peculiarità della vicenda si ritiene debbano essere compensate le spese processuali.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Avv. Antonino Sugamele

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