DIVORZIO: IL TENTATIVO DI CONCILIAZIONE E' NECESSARIO MA NON INDISPENSABILE. MA SE MANCA UN CONIUGE L'AZIONE E' IMPROCEDIBILE? Cassazione, Sez. I, 23 luglio 2010, n. 17336
1. Il tentativo di conciliazione nelle cause di divorzio, pur configurandosi come un atto necessario ai fini dell'indagine sulla irreversibilità della crisi coniugale, non costituisce un presupposto indefettibile del giudizio, onde la mancata comparizione di una delle parti non comporta la fissazione necessaria di una nuova udienza presidenziale, che per contro può essere omessa quando, con incensurabile apprezzamento discrezionale, non se ne ravvisi la necessità o l'opportunità.
2. Una volta instaurato regolarmente il contraddittorio la mancata comparizione di una delle parti non incide sulla procedibilità dell'azione (Cass. 1977 n. 4119) e che in particolare la comparizione di un rappresentante del coniuge istante all'udienza presidenziale, se pure non è idonea a consentire l’esperimento del tentativo di conciliazione, il quale richiede inderogabilmente la presenza personale di entrambi i coniugi, non comporta l'improcedibilità dell'azione, nè impone la fissazione di una nuova udienza per detto tentativo.Ritenuto in fatto e diritto.
Cassazione, Sez. I, 23 luglio 2010, n. 17336
(Pres. Rel. Luccioli)
La relazione depositata ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore:
Con sentenza del 10 gennaio - 7 marzo 2007 la Corte di Appello di Roma, pronunciando sull'appello proposto da A. G. D. B. avverso la sentenza del Tribunale di Roma in data omissis con la quale, nella contumacia della medesima, era stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio da questa contratto con P. S., rigettava l'impugnazione, condannando l'appellante al pagamento delle spese del grado.
Riteneva la Corte di Appello che correttamente il primo giudice avesse pronunciato il divorzio pur in assenza all'udienza presidenziale di entrambe le parti, e quindi senza aver esperito il tentativo di conciliazione, tenuto conto da un lato che il tentativo di conciliazione non costituisce premessa indefettibile per l'ulteriore corso del procedimento e dall'altro lato che la presenza in detta sede del difensore del ricorrente, il quale aveva dedotto l'impedimento per malattia del suo assistito senza peraltro avanzare richiesta di fissazione di altra udienza presidenziale, giustificava la rimessione delle parti dinanzi all'istruttore.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la G. D. B. denunciando con unico motivo violazione e falsa applicazione di legge, omissione, contraddittorietà ed insufficienza della motivazione (artt. 360 n. 3 e 5 c.p.c. in relazione agli artt. 1, 2 e 4 della legge n. 898 del 1970, come modificata dalla legge n. 74 del 1987, 113 comma 1, 115 comma 1, 157, 159 e 161 c.p.c.).
La ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver considerato che il presidente del tribunale aveva mancato di valutare la sussistenza di quei gravi e comprovati motivi che ai sensi del settimo comma del richiamato art. 4 giustificano la mancata comparizione personale dei coniugi e rileva che finalità della comparizione personale non è solo di dare ingresso al tentativo di conciliazione, ma anche di verificare la persistenza della volontà di almeno uno dei coniugi di ottenere lo scioglimento del vincolo.
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: Vero che la mancata comparizione personale sia del ricorrente che del resistente davanti al presidente in sede di divorzio, in assenza di gravi e comprovati motivi che vanno specificamente accertati, non essendo sufficienti generiche allegazioni del difensore il quale si limiti a dichiarare che il cliente è malato, senza indicare la natura della malattia né precisare se sia temporanea o permanente e soprattutto senza fornire alcuna prova effettiva dello stato dedotto, comporta la nullità assoluta ed insanabile della sentenza che abbia ugualmente pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio per violazione degli artt. 2 e 4 l. 898/70 come modificati dalla legge 74/87.
Costituisce giurisprudenza del tutto consolidata che il tentativo di conciliazione nelle cause di divorzio, pur configurandosi come un atto necessario ai fini dell’indagine sulla irreversibilità della crisi coniugale, non costituisce un presupposto indefettibile del giudizio, onde la mancata comparizione di una delle parti non comporta la fissazione necessaria di una nuova udienza presidenziale, che per contro può essere omessa quando, con incensurabile apprezzamento discrezionale, non se ne ravvisi la necessità o l’opportunità (v. per tutte Cass. 2005 n. 23070; 2001 n. 11059).
Né sembra da escludere l’applicabilità del richiamato principio nell’ipotesi, che si configura nella specie, in cui alla udienza presidenziale omettano di comparire entrambi i coniugi, tenuto conto che il richiamato settimo comma dell’art. 4, nella formulazione all’epoca vigente, non prevede - diversamente dalla disposizione riformata dalla legge n. 80 del 2005 - un onere di conferma collegato alla comparizione del ricorrente, con la comminatoria di inefficacia della domanda.
Ritiene pertanto che sussistano le condizioni per la decisione in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.â€.
Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali si fondano.
Ed invero l’assunto della G. D. B., ribadito in sede di memoria illustrativa, secondo il quale la mancata partecipazione personale di entrambi i coniugi, nella insussistenza di gravi e comprovati motivi, all’udienza presidenziale comporterebbe l’improcedibilità del ricorso proposto dal S. è privo di ogni supporto normativo, tenuto conto che la presenza in detta udienza del difensore del ricorrente, il quale si limitò a dedurre l’impedimento del suo assistito senza richiedere la fissazione di una nuova udienza presidenziale, esprimeva la volontà del medesimo di proseguire nel giudizio di divorzio. Alla fattispecie in esame era pertanto pienamente applicabile la disciplina dettata dall’art. 4, commi 7 e 8 della legge n. 898 del 1970, nel testo all’epoca vigente, secondo la quale se i coniugi si conciliano o, comunque, se il coniuge istante dichiara di non voler proseguire nella domanda, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione o della dichiarazione di rinuncia all’azione, mentre se il coniuge convenuto non compare o se la conciliazione non riesce, il presidente dà , anche di ufficio, i provvedimenti temporanei e urgenti ritenuti opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione delle parti dinanzi a questo.
Appare evidente che nella previsione del richiamato art. 4 la sussistenza di gravi e comprovati motivi di impedimento a comparire può valere ai fini della fissazione di una nuova udienza presidenziale per esperire il tentativo di conciliazione (v. sul punto Cass. 1987 n. 5865), e che per converso la mancanza di detti gravi e comprovati motivi non preclude il passaggio alla fase istruttoria del giudizio, dovendo tale situazione equipararsi ad un negativo esperimento del tentativo di conciliazione.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte ha da tempo chiarito, sempre con riferimento ai giudizi anteriori alla legge 14 maggio 2005 n. 80, che una volta instaurato regolarmente il contraddittorio la mancata comparizione di una delle parti non incide sulla procedibilità dell’azione (Cass. 1977 n. 4119) e che in particolare la comparizione di un rappresentante del coniuge istante all’udienza presidenziale, se pure non è idonea a consentire l’esperimento del tentativo di conciliazione, il quale richiede inderogabilmente la presenza personale di entrambi i coniugi, non comporta l’improcedibilità dell’azione, né impone la fissazione di una nuova udienza per detto tentativo (Cass. 1978 n. 2757).
Correttamente pertanto il presidente del Tribunale, dato atto della presenza del difensore del ricorrente e ravvisata nel suo incensurabile apprezzamento l’impossibilità di un esito positivo del tentativo di conciliazione, ha applicato la regola relativa alla mancata comparizione del convenuto ed ha disposto la rimessione delle parti dinanzi all’istruttore.
Il ricorso deve in conclusione essere rigettato per manifesta infondatezza, ai sensi dell’art. 375 n. 5 c.p.c.
Le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 2.000,00, di cui euro 1.800,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori come per legge.
16-10-2010 00:00
Richiedi una Consulenza