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Sentenza

Cassazione, Sez. III, 15 ottobre 2010, n. 21329 (Pres. Di Nanni  Rel. Petti) Insidia stradale: Se il pedone cade sul marciapiede sconnesso del cimitero risponde il Comune ex art. 20151 c.c.
Cassazione, Sez. III, 15 ottobre 2010, n. 21329 (Pres. Di Nanni Rel. Petti) Insidia stradale: Se il pedone cade sul marciapiede sconnesso del cimitero risponde il Comune ex art. 20151 c.c.
1.Questa Corte  con una lettura costituzionalmente orientata delle norme di tutela riferite alla responsabilità  civile della pubblica amministrazione in relazione alla non corretta manutenzione del manto stradale e del marciapiede, che costituisce il normale percorso di calpestio dei pedoni, ha stabilito che la presunzione di responsabilità  di danni alle cose si applica, ai sensi dell'art. 2051 c.c. per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, quando la custodia del bene, intesa quale potere di fatto sulla cosa legittimamente e doverosamente esercitato, sia esercitabile nel caso concreto, tenuto conto delle circostanze, della natura limitata del tratto di strada vigilato, come attesta lo stesso rapporto del vigile urbano, che tuttavia ammette di aver preferito di vigilare sul traffico, disinteressandosi dei numerosi pedoni che necessariamente si avvalevano del marciapiede dissestato.
2.La presunzione in tali circostanze resta superata dalla prova del caso fortuito, e tale non appare il comportamento del danneggiato che cade in presenza di un avvallamento sul marciapiede coperto da uno strato di ghiaino, ma lasciato aperto al calpestio del pubblico, senza alcuna segnalazione delle condizioni di pericolo.
 Cassazione, Sez. III, 15 ottobre 2010, n. 21329

Svolgimento del processo
1. Il giorno omissis A.E. mentre percorreva a piedi il marciapiede di via omissis, diretta al cimitero di omissis, inciampava in una zona sconnessa del marciapiede, e cadeva, riportando la frattura del gomito sinistro.
2. Con citazione del 28 giugno 1999 la parte infortunata conveniva dinanzi al Tribunale di Trieste il Comune, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni ai sensi degli artt. 2043 e 2051 del codice civile. Si costituiva il Comune e contestava il fondamento delle domande. La causa era istruita con prove orali e documentali ma senza espletamento di consulenza medico legale.
3. Il Tribunale con sentenza del 5 novembre 2003 rigettava la domanda. Contro la decisione proponeva appello E., chiedendone la riforma; resisteva il Comune chiedendo il rigetto del gravame.
4. La Corte di appello di Trieste, con sentenza del 1 giugno 2005 rigettava l'appello e compensava le spese del grado.
5. Contro la decisione ricorre la parte infortunata deducendo quattro motivi di censura; il Comune ha svolto la difesa in forma orale.
 
Motivi della decisione
 
Il ricorso merita accoglimento in ordine ai motivi svolti, che vengono esposti in sintesi descrittiva con puntualizzazioni in relazione al fatto storico circostanziato.
Nel primo motivo si deduce violazione e o falsa applicazione della norma di cui all'art. 2051 del codice civile. La tesi, ampiamente argomentata da ff 8 a 24 del ricorso, sostiene che la presunzione di colpa prevista dalla norma di garanzia a carico del Comune, per la non idonea manutenzione del marciapiede, ampiamente frequentato dai pedoni che si recavano al cimitero in costanza dei giorni novembrini, dedicati alla visita dei defunti, operava in relazione alla fattispecie concreta dell'illecito come fatto storico circostanziato, essendo pacifico che il tratto del marciapiede, percorso dalla pedone, non era asfaltato ma malformato ed avvallato e potenzialmente pericoloso per la sicurezza dei pedoni. In punto di diritto si censura la erroneità della pronuncia del primo giudice, che adotta una giurisprudenza restrittiva della responsabilità del custode, senza tener conto delle circostanze concrete del potere di controllo esercitabile sul tratto del marciapiede antistante alla zona cimiteriale e presidiato dal maresciallo T..
Punto illustrato nel paragrafo 1.1. del ricorso.
Nel secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione della norma di cui all’art. 2049 c.c. ed il vizio della motivazione su tale punto, sul rilievo che il Comune risponde anche in relazione alla mancata vigilanza del M.llo della polizia municipale, sulla sede del marciapiede, a rischio di cadute.
Nel terzo motivo si deduce la carenza della motivazione su punto decisivo, in relazione alla insidiosità del marciapiede per la presenza di occulti avvallamenti allo interno della area dissestata. Avvallamenti dissimulati e resi cedevoli da uno strato di ghiaino, come attestato dallo stesso maresciallo nella relazione di servizio ed evidenziati dalla documentazione fotografica.
Nel quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della regola del neminem laedere, di cui all’art. 2043 del cod. civile, in relazione allo stato precario di tutto il marciapiede ed all’avvallamento connesso a detta superficie, come relazionato nel rapporto di servizio del detto maresciallo.
Nella difesa orale il difensore del Comune ha contestato tale complessa linea difensiva sul rilievo che le censure investirebbero il merito della decisione.
Il ricorso merita accoglimento sul rilievo che, nella sintetica motivazione, la Corte di appello parte da una premessa di principi giuridici, che, in relazione alla fattispecie di illecito ascrivibile al Comune come ente pubblico proprietario e preposto alla sicurezza della circolazione degli utenti, pedoni e veicoli, nella area cimiteriale e relativo marciapiede dissestato, esclude la applicabilità della norma di cui all’art. 2051 c.c. ed applicando la regola generale del neminem laedere, esclude la responsabilità dell’ente addebitando al pedone il criterio di normale prudenza in corrispondenza della malformazione del piano di calpestio sul marciapiede che conduceva all’ingresso cimiteriale.
In senso contrario viene in evidenza l’errore del ragionamento giuridico, compiuto dai giudici di merito, che si sono adagiati su una giurisprudenza ormai superata, mentre questa Corte con una sequenza consolidata di decisioni, da Cass. 6 luglio 2006 n. 15383 a Cass. 22 aprile 2010 n. 9546 sino a recentissime pronunciate nella odierna udienza, con una lettura costituzionalmente orientata delle norme di tutela riferite alla responsabilità civile della pubblica amministrazione in relazione alla non corretta manutenzione del manto stradale e del marciapiede, che costituisce il normale percorso di calpestio dei pedoni, ha stabilito che la presunzione di responsabilità di danni alle cose si applica, ai sensi dell’art. 2051 c.c. per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, quando la custodia del bene, intesa quale potere di fatto sulla cosa legittimamente e doverosamente esercitato, sia esercitabile nel caso concreto, tenuto conto delle circostanze, della natura limitata del tratto di strada vigilato, come attesta lo stesso rapporto del vigile urbano, che tuttavia ammette di aver preferito di vigilare sul traffico, disinteressandosi dei numerosi pedoni che necessariamente si avvalevano del marciapiede dissestato.
La presunzione in tali circostanze resta superata dalla prova del caso fortuito, e tale non appare il comportamento del danneggiato che cade in presenza di un avvallamento sul marciapiede coperto da uno strato di ghiaino, ma lasciato aperto al calpestio del pubblico, senza alcuna segnalazione delle condizioni di pericolo.
Le censure, unitariamente considerate, pongono in evidenza vuoi gli errori di applicazione delle norme giuridiche rispetto alla fattispecie come circostanziata, per fatto illecito e responsabilità da custodia, restando inoltre evidente la negligenza del vigile preposto alla sicurezza dei luoghi, sia le lacune motivazionali illustrative di un iter logico incompleto e contraddittorio.
La cassazione avviene con rinvio alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione, con vincolo di attenersi ai principi di diritto come sopra enunciati, e ribaditi nel precedente di questa Corte del 22 aprile 2010 n. 9546.
Il giudice del rinvio provvederà al nuovo regolamento delle spese di giudizio, incluse quelle di questo grado di cassazione.
 
P.Q.M.
 
Accoglie il ricorso, cassa e rinvia anche per le spese di questo giudizio di cassazione alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione.
Avv. Antonino Sugamele

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