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Sentenza

Le Sezioni Unite Penali definiscono un annoso dilemma. Ricorso ammissibile su alcuni capi e su altri no. Prescrizione ed ammissiblità.
Le Sezioni Unite Penali definiscono un annoso dilemma. Ricorso ammissibile su alcuni capi e su altri no. Prescrizione ed ammissiblità.
Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 25 maggio 2016 – 14 febbraio 2017, n. 6903
Presidente Canzio – Relatore Cammino

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Genova, con sentenza del 9 ottobre 2014, dichiarava A.A. colpevole di due distinti reati di falsa testimonianza, commessi, il primo, deponendo dinanzi al Tribunale di Genova all'udienza dell'11 aprile 2007 nella qualità di persona offesa dal reato di estorsione nel processo penale n. 4928/06 R.G. a carico di D.M. (capo A) e, il secondo, deponendo all'udienza del 16 febbraio 2007 dinanzi al Tribunale di Genova nel procedimento n. 2186/06 R.G. relativo all'impugnativa del licenziamento del D. da parte del datore di lavoro Cetena s.p.a. (capo B).
Il Tribunale, ritenuta la continuazione tra i reati e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, condannava l'A. , con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione nel certificato del casellario, alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno, da liquidare separatamente, in favore della parte civile D.M. cui veniva riconosciuta una provvisionale nella misura di 10.000 Euro.
L'imputato, titolare della Sicom s.r.l., era stato chiamato a testimoniare nei due procedimenti avendo denunciato il D. , dipendente della Cetena s.p.a., che a suo dire gli aveva chiesto la somma di 1.200 Euro per sbloccare il pagamento di una fattura relativa ad una fornitura alla soc. Cetena, con la minaccia in caso di mancato pagamento di ostacolare i rapporti commerciali tra le due società. Il D. era stato arrestato in flagranza del reato di estorsione e aveva giustificato il possesso del denaro ricevuto dall'A. sostenendo che si trattava del compenso dovutogli per prestazioni lavorative rese al di fuori dell'orario di lavoro presso la soc. Cetena.
Condannato in primo grado in ordine al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e in appello assolto da detto reato per insussistenza del fatto, il D. era stato licenziato dalla soc. Cetena ed aveva impugnato il licenziamento. Nel corso delle deposizioni testimoniali rese dinanzi al Tribunale di Genova, l'A. aveva dichiarato di non aver mai fatto regalie ai dipendenti della soc. Cetena e, in particolare, al D. ed aveva escluso categoricamente che il D. avesse mai svolto attività lavorativa per suo conto, avendolo solo aiutato, per un paio di ore, in occasione di un trasloco.
2. La Corte di appello di Genova, con sentenza in data 2 luglio 2015, ha riformato la sentenza di primo grado limitatamente alla condanna al pagamento della provvisionale, che è stata eliminata, ed ha confermato le restanti statuizioni.
3. Avverso la predetta sentenza l'imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione.
3.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 192 e 530 cod. proc. pen. e il vizio della motivazione nella parte in cui il giudice di merito aveva affermato la falsità delle dichiarazioni testimoniali rese dall'imputato; l'A. infatti, deponendo nel processo penale e nella causa di lavoro, si sarebbe limitato a contrastare la tesi difensiva del D. , negando di avergli fatto delle regalie diverse da quelle destinate ai dipendenti della soc. Cetena nell'ambito del rapporto contrattuale di fornitura con la soc. Sicom ed escludendo la sussistenza di un rapporto lavorativo autonomo e parallelo che giustificasse la corresponsione allo stesso D. di somme di denaro.
3.2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 157 e 159, primo comma, n. 3, cod. pen., in relazione alla mancata dichiarazione di estinzione per prescrizione di entrambi i reati di falsa testimonianza; si richiamano gli interventi della giurisprudenza di legittimità, in particolare delle Sezioni Unite nella sentenza n. 4909 del 18/12/2014 sugli effetti ai fini della prescrizione del rinvio dell'udienza con riguardo al legittimo impedimento dell'imputato e del difensore oltre il limite massimo di sessanta giorni.
4. La Sesta Sezione penale con ordinanza in data 12 febbraio 2016 ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.
4.1. Rilevata la genericità del primo motivo di ricorso, peraltro attinente al merito, la Sezione rimettente ha osservato, quanto al secondo motivo, che "il difensore pare dedurre per entrambi i rinvii un proprio duplice impedimento professionale"; dei due rinvii richiesti dalla difesa dell'imputato, invece, il primo era stato disposto per legittimo impedimento dell'imputato ed aveva comportato la sospensione della prescrizione per sessantasette giorni (sette giorni di prognosi per la malattia diagnosticata e sessanta giorni dalla cessazione dell'impedimento), mentre il secondo era stato disposto per l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze deliberata da un'associazione di categoria ed aveva determinato la sospensione della prescrizione per tutto il periodo del rinvio, pari a poco meno di otto mesi (dall'il luglio 2013 al 4 marzo 2014).
Tenuto conto del periodo complessivo di sospensione della prescrizione, il reato consumato il 16 febbraio 2007 (capo B) si era estinto, per decorso del termine massimo di prescrizione, prima della sentenza di appello emessa il 2 luglio 2015; per l'altro reato commesso l'(omissis) (capo A), invece, il termine massimo di prescrizione, considerato il periodo di sospensione correttamente calcolato, non era decorso alla data della sentenza di appello.
4.2. In presenza di un ricorso relativo a due capi di imputazione diversi e autonomi ascritti allo stesso imputato, per uno dei quali (capo B) il ricorso doveva ritenersi parzialmente fondato, la Sesta Sezione ha evidenziato la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale circa la possibilità di dichiarare, nei ricorsi avverso sentenze oggettivamente cumulative, la prescrizione maturata successivamente alla sentenza di appello per il reato in relazione al quale i motivi di ricorso risultino affetti da cause di inammissibilità.
Nell'ordinanza di rimessione si osserva che, secondo l'orientamento giurisprudenziale largamente prevalente, va esclusa la rilevabilità, nei processi oggettivamente cumulativi, della prescrizione intervenuta dopo la sentenza di appello in relazione ai reati per i quali siano stati presentati motivi inammissibili, anche se i motivi di ricorso relativi alle altre imputazioni siano ammissibili.
Un secondo orientamento, minoritario, ammette invece la rilevabilità della prescrizione maturata dopo la sentenza di appello per un reato in relazione al quale i motivi sono inammissibili, anche nel caso in cui la manifesta infondatezza del ricorso sia stata esclusa per altro reato contestato all'imputato nel medesimo procedimento (Sez. 2, n. 31034 del 05/07/2013, Santacroce, Rv. 256557 e Sez. 5, n. 16375 del 13/01/2014, Cavina, Rv. 262763).
Sulla base di tale impianto argomentativo, la Sesta Sezione ha rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito: "Se, in presenza di un ricorso cumulativo per diversi e autonomi capi di imputazione, per i cui reati sia intervenuta la prescrizione dopo la deliberazione di appello, l'accoglimento dei motivi afferenti un capo imponga o meno la dichiarazione di prescrizione anche per i distinti ed autonomi capi di imputazione, pur quando i pertinenti motivi siano invece giudicati originariamente inammissibili".
5. Il Primo Presidente, con decreto in data 16 marzo 2016, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'udienza pubblica del 25 maggio 2016 in cui l'avv. Ida Blasi, sostituto processuale del difensore di parte civile avv. Ernesto Monteverde del Foro di Genova, ha dichiarato di aderire all'astensione dalle udienze deliberata dall'Unione delle Camere penali il 7 maggio 2016. La Corte, preso atto anche della dichiarazione di astensione depositata in cancelleria dal difensore dell'imputato avv. Mario Iavicoli del Foro di Genova, ha rinviato il giudizio all'odierna udienza, senza ulteriori avvisi.
5. Il Procuratore generale, in data 23 maggio 2016, ha depositato una memoria a sostegno della tesi dell'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione.

Considerato in diritto

1. La Corte preliminarmente rileva che con il primo motivo di ricorso, come già posto in evidenza nell'ordinanza di rimessione, si tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito.
Secondo l'incontrastata giurisprudenza di legittimità, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone).
Nella sentenza impugnata, che conferma quella di primo grado in punto di responsabilità, l'obbligo di motivazione è stato esaustivamente soddisfatto con argomentazioni coerenti sotto il profilo logico-giuridico con le quali il ricorrente non si confronta.
2. Il secondo motivo di ricorso è solo parzialmente fondato.
Va premesso che la censura, relativa alla mancata dichiarazione di estinzione per prescrizione di entrambi i reati, pur essendo formulata con argomentazione priva di consistenza (come sottolineato anche nell'ordinanza di rimessione), è tuttavia specifica, essendo diretta chiaramente a contestare le modalità di calcolo del periodo di sospensione della prescrizione per effetto dei rinvii disposti in primo grado su richiesta della difesa e concentrandosi sostanzialmente sull'espressa esclusione da parte della Corte territoriale dell'intervenuto decorso del termine massimo di prescrizione in relazione ad entrambi i reati. Nella motivazione della sentenza impugnata (f. 1) la Corte territoriale infatti afferma: "Preliminarmente (pur non essendo ciò motivo di appello), si rileva che i reati non sono prescritti, essendovi stati periodi di sospensione d. il giudizio di primo grado (67 giorni dal 22/1/2013 al 30/3/2013, nonché il periodo compreso tra l'11 luglio 2013 e il 4/3/2014)".
Detta affermazione è parzialmente errata.
2.1. Il periodo di sospensione della prescrizione per effetto dei due rinvii citati nella motivazione della sentenza impugnata è pari a 303 giorni. Il primo rinvio è stato infatti disposto all'udienza del 22 gennaio 2013, a causa del legittimo impedimento dell'imputato per malattia documentata da un certificato medico che indicava una prognosi di guarigione in sette giorni, con conseguente sospensione del termine di prescrizione di ulteriori sessanta giorni decorrenti ex art. 159, primo comma, cod. pen. dalla data di cessazione dell'impedimento, ed ha comportato pertanto - come correttamente indicato nella motivazione della sentenza impugnata - la sospensione della prescrizione per sessantasette giorni. Il secondo rinvio, al 4 marzo 2014, è stato disposto all'udienza dell'11 luglio 2013 per effetto dell'adesione del difensore all'astensione deliberata da un'associazione di categoria e il corso della prescrizione è rimasto sospeso per tutto il periodo del rinvio, come dalla Corte territoriale correttamente ritenuto in applicazione della consolidata giurisprudenza sul punto (cfr. per tutte Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 2015, Torchio, Rv. 262914), e quindi per duecentotrentasei giorni.
Al termine massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi, scadente il 16 agosto 2014 per il reato la cui data di commissione è antecedente (capo B, relativo al reato di falsa testimonianza commesso il (omissis) ), va quindi aggiunto il periodo complessivo di sospensione indicato. Ne consegue che il reato contestato al capo B alla data in cui è stata emessa la sentenza di appello (2 luglio 2015) era già estinto, essendo il termine massimo di prescrizione decorso interamente sin dal 15 giugno 2015. Per il reato di falsa testimonianza contestato al capo A, commesso l'(omissis) , la causa di estinzione della prescrizione è invece intervenuta successivamente alla sentenza impugnata, il 31 luglio 2015.
2.2. Il secondo motivo di ricorso risulta quindi fondato in relazione alle censure inerenti alla mancata declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di falsa testimonianza ascritto al capo B, per il quale effettivamente il termine massimo di prescrizione era decorso prima della sentenza di appello. Come affermato recentemente dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266819), deve ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito (come avvenuto nel caso in esame quanto al reato ascritto al capo B), integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen.
La censura difensiva è manifestamente infondata invece in relazione al reato di falsa testimonianza ascritto al capo A commesso in data (omissis) , in relazione al quale la Corte territoriale ha correttamente escluso l'intervenuta estinzione per prescrizione.
2.3. Alla ritenuta fondatezza del secondo motivo di ricorso in relazione al capo B consegue che limitatamente a detto reato la sentenza impugnata debba essere annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.
2.4. Quanto al reato ascritto al capo A, non vi è dubbio che il ricorso, se avesse riguardato esclusivamente detto reato, sarebbe stato definito con sentenza di inammissibilità per manifesta infondatezza, essendo risultata errata la censura difensiva sull'estinzione per prescrizione intervenuta prima della sentenza di appello. È infatti principio giurisprudenziale unanimemente condiviso che il decorso del termine massimo di prescrizione dopo la sentenza di appello, in presenza di ricorso per cassazione inammissibile per manifesta infondatezza o per altre ragioni diverse dalla rinuncia, non consente di dichiarare la causa estintiva del reato. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, ribadita anche recentemente nella citata sentenza delle Sezioni Unite n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, l'inammissibilità del ricorso per cassazione anche per manifesta infondatezza dei motivi non consente infatti il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude pertanto la possibilità di rilevare e dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531).
Nella motivazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 12602 del 2016, in particolare, viene ripercorsa, attraverso l'esame dei plurimi interventi delle Sezioni Unite, la problematica del rapporto tra inammissibilità dell'impugnazione e cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. che è stata contrassegnata da una progressiva dilatazione dell'area delle cause originarie di inammissibilità rispetto a quelle sopravvenute (Sez. U, n. 21 dell'11/11/1994, dep. 1995, Cresci, Rv. 199903; Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, Piepoli, Rv. 213981) fino al definitivo abbandono di tale distinzione, attraverso l'elaborazione di una categoria unitaria di inammissibilità dell'impugnazione comprendente, oltre alla mancanza di specificità dei motivi e alla proposizione di motivi non consentiti o non dedotti in sede di appello, anche la manifesta infondatezza tra le cause di inammissibilità intrinseche al ricorso, preclusive della possibilità di far valere o di rilevare di ufficio una causa di non punibilità già maturata in sede di merito come la prescrizione (oltre a Sez. U., De Luca, cit. e Sez. U, Cavalera, cit., v. Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164).
La successiva giurisprudenza delle sezioni penali della Corte ha ribadito il principio secondo cui tutte le cause di inammissibilità del ricorso per cassazione (ad eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, costituente causa sopravvenuta di inammissibilità) integrano un vizio intrinseco dell'atto, impediscono la valida costituzione di un rapporto processuale e sono di ostacolo a far valere o a rilevare di ufficio, ex art. 129 cod. proc. pen., l'estinzione del reato per prescrizione maturata successivamente alla sentenza di appello.
2.5. Nel caso specifico sottoposto alle Sezioni Unite l'applicazione di detto consolidato principio della giurisprudenza di legittimità si pone tuttavia in maniera problematica. La sentenza impugnata riguarda infatti due distinte fattispecie di reato ascritte allo stesso imputato (sentenza oggettivamente cumulativa) e con il ricorso per cassazione sono stati dedotti plurimi motivi di ricorso aventi ad oggetto entrambi i reati per i quali è stata pronunciata condanna. Il ricorso risulta tuttavia ammissibile per uno solo dei reati (capo B), essendo fondato il secondo motivo di impugnazione relativo alla prescrizione intervenuta prima della sentenza di appello ed erroneamente non dichiarata dal giudice di appello, mentre è inammissibile per l'altro reato (capo A), in relazione al quale entrambi i motivi di impugnazione sono manifestamente infondati e la prescrizione è maturata dopo la sentenza di appello.
La soluzione della questione di diritto controversa sottoposta all'esame delle Sezioni unite è quindi rilevante con riferimento alla possibilità o meno di dichiarare l'estinzione per prescrizione, intervenuta dopo la sentenza di appello, del reato ascritto al capo A, in relazione al quale sono stati presentati motivi manifestamente infondati, pur risultando fondato il secondo dei motivi proposti con il medesimo ricorso in relazione al reato oggetto di diverso e autonomo capo di imputazione (capo B).
3. Il contrasto di giurisprudenza esiste, ma va dato atto della netta prevalenza dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene, nel caso di ricorso avverso sentenza plurima o cumulativa dal punto di vista oggettivo, autonoma l'azione penale e plurimi i rapporti di impugnazione relativi ai diversi reati e ai relativi capi (e punti) della sentenza impugnata.
Secondo l'orientamento opposto il rapporto processuale, in caso di motivi di ricorso riguardanti distinti capi di imputazione, è unico e, nel caso di ammissibilità dei motivi riguardanti uno dei reati, esso è da reputare validamente instaurato per tutti i capi impugnati, quindi anche per i reati in relazione ai quali l'impugnazione risulti inammissibile.
Quest'ultimo orientamento, come evidenziato nell'ordinanza di rimessione, è stato affermato in due isolate pronunce (Sez. 2, n. 31034 del 05/07/2013, Santacroce, Rv. 256557; Sez. 5, n. 16375 del 13/01/2014, Cavina, Rv. 262763), di cui la prima è sostanzialmente assertiva sul punto, mentre la più recente contiene un più articolato esame della questione. Nella sentenza n.16375 del 2014 il Collegio, pur nella consapevolezza dell'esistenza di un diverso e prevalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, ha sostenuto che la Corte deve rilevare la prescrizione del reato maturata dopo la pronunzia della sentenza impugnata anche nel caso in cui la manifesta infondatezza del ricorso risulti esclusa con riferimento ad altro reato, valorizzando l'instaurazione, ad opera di siffatto ricorso, di un valido rapporto processuale e, dunque, l'attitudine del ricorso stesso ad "introdurre il rapporto processuale di impugnazione".
4. Al di là della sostanziale mancanza di approfondite argomentazioni nelle motivazioni delle sentenze che sostengono l'orientamento minoritario, la soluzione della questione controversa sottoposta alle Sezioni Unite va individuata alla luce dell'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale in ordine al tema dell'autonomia dei rapporti processuali di impugnazione relativi ai singoli capi e punti nel caso di ricorso avverso una sentenza plurima o cumulativa.
Il tema è stato affrontato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 373 del 16/01/1990, Agnese, Rv. 186164 e nell'ordinanza n. 20 del 09/10/1996, Vitale, Rv. 206170.
Nella sentenza n. 373 del 1990, che ha esaminato la questione della rilevabilità della prescrizione del reato intervenuta dopo la sentenza di annullamento parziale emessa dalla Corte di cassazione, si afferma che la sentenza di annullamento parziale esaurisce il giudizio in relazione a tutte le disposizioni contenute nella sentenza impugnata e non comprese in quelle annullate, né ad esse legate da un rapporto di connessione essenziale, potendo il giudicato avere una formazione progressiva, non solo quando la sentenza di annullamento parziale viene pronunciata nel processo cumulativo e riguarda solo alcuni degli imputati ovvero alcune delle imputazioni contestate, ma anche quando la stessa pronuncia ha ad oggetto una o più statuizioni relative ad un solo imputato e ad un solo capo d'imputazione. Le Sezioni Unite hanno riconosciuto in sostanza l'autonomia dei capi della sentenza che non hanno una connessione essenziale con le "parti della sentenza" (espressione utilizzata dall'art. 545 cod. proc. pen. del 1930 e riprodotta nell'art. 624 del cod. proc. pen. del 1998) annullate, definendo "capi autonomi" di una sentenza "le decisioni che concludono l'esercizio dell'azione penale in relazione ad un reato" e aggiungendo che non è "certo contestabile l'autonomia delle azioni penali confluenti nel processo cumulativo, sia in relazione al loro esercizio che alla loro consunzione".
Analoghe considerazioni circa l'autonomia delle statuizioni relative ai diversi "capi" nei processi cumulativi e l'idoneità delle stesse a passare in giudicato sono espresse nell'ordinanza n. 20 del 1996, Vitale, in cui le Sezioni Unite affermano che nel caso in cui la sentenza, pur documentalmente unica, ricomprenda una pluralità di capi e di imputazioni a carico dello stesso imputato, dalla autonomia di ciascuno di essi deriva il passaggio in giudicato di quei capi della sentenza non investiti dall'annullamento con rinvio a seguito della sentenza della Corte di cassazione, sicché la competente autorità giudiziaria può porre legittimamente in esecuzione il titolo penale per la parte divenuta irrevocabile.
La tesi dell'autonomia dei singoli capi di imputazione e nell'ambito di questi dei singoli punti è stata ribadita e sviluppata con estrema chiarezza nella sentenza Sez. U, n. 1 del 28/06/2000, Tuzzolino, Rv. 216239, in cui, sulla questione relativa alla possibilità di dichiarare estinto il reato per prescrizione quando i motivi di impugnazione riguardino solo la pena, si stabilisce la rilevanza delle cause estintive sopravvenute anche nei casi in cui non sia ulteriormente in discussione, nel procedimento pendente, il tema della responsabilità. La Corte chiarisce che il giudicato parziale può formarsi solo con riguardo ai "capi" e non con riguardo ai "punti" della decisione. Per "capo" della sentenza deve intendersi "ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all'imputato" e tale nozione ha rilievo in particolare per la sentenza plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell'unico processo dell'esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad una singola imputazione, "tale da poter costituire da solo, anche separatamente, il contenuto di una sentenza". Il concetto di "punto della decisione", cui fa espresso riferimento l'art. 597, comma 1, cod. proc. pen., ha invece una portata più ristretta, riguardando "tutte le statuizioni ma non le relative argomentazioni svolte a sostegno - suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo". I punti della decisione vengono a coincidere con le parti della sentenza relative alle "statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato" e nell'ambito di ogni capo i singoli punti della decisione segnano un "passaggio obbligato" per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato (l'accertamento del fatto, l'attribuzione di esso all'imputato, la qualificazione giuridica, l'inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza, e - nel caso di condanna - l'accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena e l'eventuale sospensione condizionale, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio). La Corte ha definito il capo come "un atto giuridico completo, tanto che la sentenza che conclude una fase o un grado del processo può assumere struttura monolitica o composita, a seconda che l'imputato sia stato chiamato a rispondere di un solo reato o di più reati, nel senso che, nel primo caso, nel processo è dedotta un'unica regiudicanda, mentre, nel secondo, la regiudicanda è scomponibile in tante autonome parti quanti sono i reati per i quali è stata esercitata l'azione penale. Nell'ipotesi di processo cumulativo o complesso la cosa giudicata può coprire uno o più capi e il rapporto processuale può proseguire per gli altri, investiti dall'impugnazione, onde, in una simile situazione, è corretto utilizzare la nozione di giudicato parziale".
In caso di sentenza cumulativa relativa a più imputazioni, quindi, i singoli capi della sentenza sono autonomi ad ogni effetto giuridico e, perciò, anche ai fini dell'impugnazione, stante il principio della pluralità delle azioni penali, tante per quanti sono gli imputati e, per ciascun imputato, tante quante sono le imputazioni; con la conseguenza che, per quanto i diversi capi siano contenuti in una sentenza documentalmente unica con la quale il giudice di merito ha statuito in ordine alle distinte imputazioni, ognuno di essi conserva la propria individualità e passa in cosa giudicata se non investito da impugnazione e con l'ulteriore conseguenza che le cause estintive del reato sono applicabili indipendentemente dai limiti devolutivi dell'impugnazione, tranne l'ipotesi in cui esse attengano ad un capo di sentenza passato in giudicato perché non toccato, nella sua interezza, dalle censure formulate con i motivi di gravame operando in tal caso la preclusione processuale correlata all'effetto devolutivo delle impugnazioni ed al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni.
Il principio dell'autonomia dei singoli capi della sentenza - già affermato, anche nella vigenza del codice del 1930, dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7 del 26/02/1955, Zoccola, Rv. 097507 - è stato ribadito dalle Sezioni Unite, successivamente alla sentenza Tuzzolino, nella sentenza n. 10251 del 09/03/2007, Michaeler, Rv. 235699, in cui si condivide la definizione del capo come atto giuridico completo, tale da poter costituire da solo, anche separatamente, il contenuto di una sentenza con la conseguenza che nel caso di processo relativo ad un solo reato la sentenza passa in giudicato nella sua interezza, mentre nell'ipotesi di processo cumulativo o complesso la cosa giudicata può coprire uno o più capi e il rapporto processuale può proseguire per gli altri, investiti dall'impugnazione, onde, in una simile situazione, è corretto utilizzare la nozione di giudicato parziale. La Corte nella sentenza Michaeler sottolinea che la dicotomia capi-punti della sentenza "è ormai canonizzata in un precetto fondamentale nel regime delle impugnazioni, quello concernente la "forma dell'impugnazione"; il precetto, cioè, dell'art. 581 secondo cui l'impugnazione deve contenere (comma 1, lettera a) "i capi o i punti della decisione cui su riferisce l'impugnazione", così annidando l'atto d'impugnazione entro lo stretto ambito del devolutum, a pena di inammissibilità, comminata dall'art. 591 cod. proc. pen.". La Corte sottolinea che la giurisprudenza di legittimità ha affrontato il tema della distinzione tra "capo" e "punto" della sentenza con prevalente riferimento, oltre che alla tematica del giudicato parziale, alla specificità dell'atto di impugnazione, essendo la norma dell'art. 581 cod. proc. pen. diretta a delimitare con precisione l'oggetto dell'impugnazione e a scongiurare "impugnazioni generiche e dilatorie", prevedendo che sia lo stesso impugnante a segnare gli esatti confini dell'oggetto del gravame. La Corte si è anche soffermata sull'espressione "parte" della sentenza, ritenuta rilevante al fine sia di un suo autonomo divenire giudicato sia per il restare ancora sub iudice in quanto abbia connessione essenziale con la "parte annullata".
5. Numerose sono anche le sentenze di diverse sezioni semplici che, per i ricorsi proposti avverso sentenze oggettivamente cumulative, hanno riconosciuto, come era già avvenuto sotto la vigenza del precedente codice, il principio dell'autonomia dei singoli capi della sentenza ad ogni effetto giuridico, quindi anche ai fini dell'impugnazione e del giudicato, in caso di pluralità delle azioni penali seppure riunite in una sentenza documentalmente unica.
Meritano di essere segnalate le pur non recenti sentenze Sez. 1, n. 4506 del 05/03/1991, Teardo e Sez. 2, n. 1312 del 13/02/1997, Mazza, Rv. 207126, in cui il principio di autonomia delle statuizioni sui singoli capi delle sentenze oggettivamente cumulative viene applicato, rispettivamente, con riferimento alla configurabilità del giudicato parziale e alla rilevabilità della prescrizione nei processi oggettivamente cumulativi.
Ulteriori sentenze emesse da sezioni semplici hanno condiviso e approfondito il principio espresso nella sentenza delle Sezioni Unite n. 1 del 2000, Tuzzolino, della pluralità dei rapporti di impugnazione per i singoli reati, con il corollario della soggezione per ciascuno dei capi oggetto di impugnazione alla regola di ammissibilità della corrispondente doglianza, indispensabile a costituire il singolo rapporto processuale di impugnazione nel senso chiarito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 32 del 2000, De Luca.
Va ricordata, in particolare, la sentenza Sez. 6, n. 6924 del 20/10/2011, dep. 2012, Fantauzza, Rv. 256556, in cui si afferma che l'autonomia della statuizione di inammissibilità del ricorso per cassazione in relazione ad un capo di imputazione impedisce la declaratoria di estinzione per prescrizione del reato con esso contestato, pur in presenza di motivi ammissibili con riferimento agli altri addebiti. In tal senso si era già espressa, anche se in maniera non specificamente argomentata, Sez. 6, n. 34171 del 04/07/2008, Mannina, Rv. 241464, non mass. sul punto.
In conformità si sono espresse, con esplicito riferimento alla sentenza Tuzzolino, anche Sez. 6, n. 50334 del 02/10/2013, La Chimia, Rv. 257846 e Sez. 6, n. 33030 del 24/07/2014, A.L., Rv. 259860.
Nella sentenza n. 50334 del 2013 la Corte afferma che ciascun capo di sentenza, proprio in ragione della autonomia dei rapporti processuali, malgrado la trattazione unitaria del processo, mantiene una autonoma attitudine al giudicato, a prescindere dalla sorte delle altre imputazioni; ciò sia nel caso di impugnazione parziale, per i capi di sentenza non impugnati, ma anche in ipotesi di annullamento parziale ex art. 624 cod. proc. pen., a seguito dell'accoglimento del ricorso solo per alcuni capi di condanna e non per altri. L'unicità del ricorso non equivale infatti a inscindibilità delle sottese situazioni processuali corrispondenti ad imputazioni diverse, come confermato dal fatto che, nel disciplinare la riunione o separazione in fase di legittimità, il codice di rito (art. 610, comma 3) non fa riferimento ai ricorsi bensì ai "giudizi", riconoscendo implicitamente che al singolo ricorso ben possono corrispondere giudizi e, quindi, rapporti processuali distinti e che può procedersi alla separazione anche tra giudizi promossi, per più capi di condanna, da un unico ricorrente con un unico ricorso. La Corte aggiunge che, nel caso in cui l'estinzione sia maturata nelle more tra la sentenza di secondo grado e il giudizio di cassazione, "il decorso del tempo acquisisce rilievo solo in presenza di una ragione, prospettata e prospettabile in termini tali da poter ritenere validamente incardinato il rapporto processuale sotteso al controllo di legittimità mediante la indicazione di motivi consentiti ex art. 606, comma 1, cod. proc. pen. o non manifestamente infondati; ciò avuto riguardo alla specifica imputazione oggetto di condanna e contestazione innanzi alla Corte, non ad ogni possibile altro capo di decisione in ordine al quale i motivi di ricorso siano stati ritenuti invece fondati". Nella sentenza Sez. 6 n. 33030 del 2014, A.L., Rv. 259860, si afferma inoltre che l'occasionale trattazione congiunta delle diverse regiudicande (come avviene appunto nelle sentenze plurime o cumulative) non può stravolgere il principio dell'autonomia dei singoli capi di imputazione e della pluralità dei rapporti di impugnazione che si costituiscono per ciascuno di essi (sentenza Tuzzolino) né quello della mancata instaurazione di un valido rapporto di impugnazione in caso di inammissibilità dei motivi che preclude di rilevare e dichiarare cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., tra cui la prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (sentenza De Luca); manca, afferma la Corte, alcuna ragione sistematica che giustifichi la "contaminazione positiva" tra regiudicande autonome.
Anche nella sentenza Sez. 4, n. 51744 del 13/11/2014, Campagnaro, Rv. 261576, si richiama, a sostegno della tesi dell'autonomia dei rapporti di impugnazione per i singoli reati, l'art. 610, comma 3, cod. proc. pen. che consente la separazione dei "giudizi" da parte della Corte di cassazione, così riconoscendo la possibilità di ravvisare distinti rapporti processuali afferenti i singoli capi e confermando che "all'interno dell'unico, ma complesso, rapporto processuale che si costituisce nel caso di processo oggettivamente cumulativo (pluralità di contestazioni nei confronti di un unico soggetto), le singole contestazioni, che rappresentano distinti capi della sentenza, mantengono la loro individualità". Di conseguenza, conclude la Corte, l'ammissibilità o meno dei motivi di ricorso deve essere valutata con riferimento alle singole contestazioni "senza che sia possibile ritenere che l'ammissibilità o perfino la fondatezza del ricorso su un distinto capo della sentenza abbia l'effetto di rendere consentito o non manifestamente infondato, e quindi ammissibile, il ricorso anche sugli altri capi".
Nella sentenza Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, dep. 2015, Zagarella, Rv. 265119, infine, si ribadisce che l'impugnazione oggettivamente plurima, anche se contenuta in un documento formalmente unico, "deve considerarsi concettualmente distinta ed autonoma per quanto riguarda i singoli reati, cioè i vari capi della sentenza. Con la conseguenza che l'ammissibilità o inammissibilità della stessa deve essere valutata in relazione ai singoli capi cui si riferisce".
6. Le Sezioni Unite condividono l'orientamento giurisprudenziale pressoché unanime che, sulla base del principio dell'autonomia dei rapporti di impugnazione relativi ai singoli capi, ritiene nei processi oggettivamente cumulativi che l'ammissibilità del ricorso relativo ad un capo non si comunichi agli altri capi per i quali il ricorso, preso in esame isolatamente, sarebbe stato dichiarato inammissibile.
Le numerose sentenze favorevoli alla valutazione frazionata dell'ammissibilità dei singoli capi della sentenza oggettivamente cumulativa, motivate con argomentazioni razionali e convincenti, corrispondono ad un indirizzo giurisprudenziale consolidatosi da tempo (già nella sentenza Tuzzolino era evocato "un filone cospicuo ed ininterrotto della giurisprudenza di questa Corte" in cui, fin da quando era in vigore il codice del 1930, si affermava, in caso di sentenza cumulativa relativa a più imputazioni, l'autonomia dei singoli capi ad ogni effetto giuridico e, quindi, anche ai fini delle impugnazioni), condiviso a livello dottrinario e supportato da elementi testuali tratti dal codice di rito.
La principale base normativa del principio dell'autonomia dei capi della sentenza impugnata si rinviene in particolare nell'art. 581, comma 1, lett. a), cod proc. pen., che prevede, a pena di inammissibilità, che nell'atto di impugnazione siano enunciati, tra l'altro, "i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione" (con riferimento ai motivi nuovi, l'art. 167 disp. att. cod. proc. pen. richiede a sua volta l'indicazione dei capi e dei punti enunciati ai quali i motivi nuovi si riferiscono).
Da altre norme del codice di rito si trae conferma dell'autonomia dei rapporti processuali inerenti a singoli fatti-reato, nel caso di indagini preliminari "cumulative", e a singole imputazioni, nei giudizi di merito e di legittimità plurimi sotto il profilo oggettivo.
Sin dalla fase delle indagini preliminari è infatti prevista l'iscrizione da parte del pubblico ministero nell'apposito registro (art. 335 cod. proc. pen.) di "ogni notizia di reato" nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito, e si fa esplicito riferimento a "nuove iscrizioni", che riguardano generalmente il caso in cui il pubblico ministero acquisisca nel corso delle indagini elementi in ordine ad ulteriori fatti costituenti reato nei confronti della stessa persona già iscritta o al medesimo o ad un nuovo reato a carico di persone diverse da quella originariamente sottoposta ad indagini. In tal caso il termine per le indagini preliminari, previsto dall'art. 405 cod. proc. pen., decorre di regola in modo autonomo per ciascuna successiva iscrizione nell'apposito registro (ex plurimis, Sez. 2, n. 29143 del 22/03/2013, Doronzo, Rv. 256457; Sez.3, n. 32998 del 18/3/2015, M., Rv. 264191).
Il regime della riunione (art. 17 cod. proc. pen.) o della separazione di processi (art. 18 cod. proc. pen.), prevista quest'ultima anche con riferimento a "singole imputazioni", si estende inoltre al giudizio di cassazione, attraverso la previsione della riunione o della separazione "dei giudizi nei casi previsti dall'art. 17 e la separazione dei medesimi quando giovi alla speditezza della decisione" (art.610, comma 3, cod. proc. pen.).
L'art. 533 cod. proc. pen. prevede che, se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione.
L'art. 624 cod. proc. pen. disciplina il caso dell'annullamento parziale da parte della Corte di cassazione della sentenza impugnata che assume "autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata" e prescrive che la Corte, quando occorre, dichiari nel dispositivo quali parti della sentenza diventano irrevocabili.
7. Può in conclusione affermarsi il seguente principio di diritto:
"In caso di ricorso avverso una sentenza di condanna che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato (sentenza oggettivamente cumulativa) l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali l'impugnazione sia inammissibile e preclude per detti reati, in relazione ai quali si è formato il giudicato parziale, la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello".
Non appare superfluo auspicare, per una maggiore chiarezza anche in sede esecutiva, che nei dispositivi delle sentenze emesse dalla Corte su ricorsi cumulativi, oltre che nelle motivazioni, siano specificati i termini delle distinte valutazioni (inammissibilità o rigetto del ricorso in relazione a singoli capi; annullamento con o senza rinvio e rigetto o inammissibilità per gli ulteriori capi con dichiarazione di parti della sentenza divenute irrevocabili) compiute sui motivi riguardanti i singoli "capi" e le conseguenze che ne derivano in tema di prescrizione.
8. Applicando al caso concreto sottoposto all'esame della Corte il principio enunciato, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo B per essere lo stesso estinto per prescrizione prima della sentenza di appello.
Il ricorso, relativamente al reato di cui al capo A, va dichiarato inammissibile.
La pena, eliminato l'aumento in continuazione per il reato ascritto al capo B, va rideterminata per il reato ascritto al capo A in anni uno, mesi quattro di reclusione.
Le statuizioni civili vanno confermate. Si richiama, in ordine alla necessaria valutazione ex art. 578 cod. proc. pen. relativamente al reato di cui al capo B per il quale viene dichiarata l'estinzione per prescrizione, quanto rilevato ai punti 1 e 2 della parte motiva.
 Il ricorrente va condannato alla rifusione in favore della parte civile D.M. delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B per essere lo stesso estinto per prescrizione.
Dichiara inammissibile il ricorso relativamente al reato di cui al capo A e ridetermina la pena in anni uno, mesi quattro di reclusione.
Conferma le statuizioni civili e condanna il ricorrente alla rifusione in favore della parte civile D.M. delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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